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martedì 31 gennaio 2012

la delegazione dei famigliari dei tunisini scomparsi in Italia (parte 2 )

la delegazione dei famigliari dei tunisini scomparsi in Italia (parte 2 )







In nome di dio misericordioso misericorde
Dal fronte di accordo nazionale in Italia , Palermo ( Sicilia)

Sabato 28 Gennaio 2012 è arrivata in Italia una delegazione composta da alcuni familiari dei giovani tunisini scomparsi. La delegazione è composta dai signori :
Sig Ahmed Ben Hassine
Sig Imed Soltani
Sig Ayed Jeljeli
Sig Nourreddine Mbarki
Sig.a Mahrezia Charfi
Sig.a Nedia el Ajmi

Informazioni circa questa delegazione :
In seguito alle estenuanti lotte delle famiglie dei dispersi contro i governi provissori succedoti al potere, la vicenda dei giovani tunisini che hanno lasciato il paese in seguito alla rivoluzione si è trasformata in una pratica trascurata dai sudetti governi.  Ad un anno di distanza dalla loro scomparizione la verità non è più venuta a galla nonostante sia stata dimostrata  tramite immagini e spezzoni di video dei telegiornali italiani raffiguranti i propri figli vivi e vegeti, prove che hanno spinto i familiari dei scomparsi a gridare un ultimo e disperato aiuto al mondo : Dove sono i nostri i figli?

La delegazione è stata inviata dal ministero degli affari esteri tunisino e dal ministero dei diritti umani per allegerire la pressione esercitata dei familiari verso il nuovo governo provissorio. Nonostante gli sforzi dei sudetti ministeri per far ottenere il visto d'ingresso in Italia alla delegazione, il fatto di non aver inviato nessun funzionario del ministero che accompagnasse le famiglie in qualità di assistente nella loro ricerca, dimostra lo scarso interesse alla vicenda dei sudetti ministeri. Giorno 30 Gennaio 2012 nel mentre ero intento ad assistere le famiglie nel loro appuntamento con il console Abd Rahman Ben Mansour, sono stato cacciato da quest'ultimo, un azione che mi ha colto di sorpresa dato . La situazione risulta davvero bizzara, come possono le attuali autorità tunisine voltare le spalle ai giovani che hanno portato a termine una gloriosa rivoluzione abbattendo cosi il regime dittatoriale di Ben Ali, tutti questi episodi riducono l'alone di mistero creatosi intorno a questa vicenda, svelando un losco piano governativo atto a neutralizzare i giovani rivoluzionari tunisini seducendoli con l'improvisa apertura delle frontiere nei mesi post rivoluzione.

Il fronte di Accordo Nazionale dichiara di voler esplettare questo dovere.
Fedeli alla Tunisia e ai cittadini tunisini, mi ero preso l'impegno di individuare e di contattare personalmente la delegazione per assisterli nella ricerca di un possibile alloggio, con l'aiuto del consolato tunisino di Palermo che ha fatto il necessario il possibile per assicurare loro il massimo dei servizi.

Tutti sanno del mio attivismo tramite face book e le associazioni italiane verso questa tragica vicenda, vicenda che che ci ha spinto a porci diverse domande. Chi c'è dietro la scomparsa di questi giovani?  Cosa ne hanno fatto di loro? Perche la stampa tunisina non ne parla? I giovani tunisini non sono mica figli della Tunisia ? Oppure sono solo dei numeri ecc..
Il fronte di accordo nazionale offre il proprio attivismo anche ai bisogni degli immigrati ma sopratutto ai bisogni del cittadino tunisino in Italia e alle famiglie dei giovani dispersi, in quanto è un loro diritto sapere della sorte dei propri cari.....Che Iddio faccia entrare la tranquilità nei cuori delle famiglie affinchè trovino la forza di continure le proprie ricerche della speranza.
Seguiranno prossimi aggiornamenti dal fronte di accordo nazionale in Italia.












Adel Aied
Rabih Bouallegue

la delegazione dei famigliari dei tunisini scomparsi in Italia

la delegazione dei famigliari dei tunisini scomparsi in Italia


Continuano le pressioni delle famiglie dei migranti tunisini misteriosamente scomparsi in Italia. Una delegazione dei familiari dei '' Desaparecidos'' tunisini è arrivata sabato mattina all'aeroporto di Punta Raisi con l'intento di svolgere personalmente la ricerca dei propri cari scomparsi.


E' arrivata sabato mattina la delegazione dei familiari dei ''desaparecidos'' tunisini, accolti all'arrivo da un Abd Rahman Ben Mansour, console tunisino a Palermo, al quanto cordiale e ospitale, nonostante avesse impedito la mia presenza in qualità di fotografo nell'appuntamento di questa mattina . Sono arrivati grazie alle pressioni del ministero degli esteri tunisino all'ambasciata italiana per il rilascio del visto di tre mesi. Adesso sono a Palermo determinati a porre fine a questa assurda vicenda,giurando di aver visto i propri cari ripresi dai telegiornali italiani al loro arrivo nell'isola di Lampedusa, affermando inoltre di aver strappato al console,con la promessa di non rivelare a nessuno la natura della loro conversazione mattutina, la seguente dichiarazione '' i vostri cari stanno bene''. Domani la delegazione formata da Ahmed Ben Hassine, Imed Soltani, Ayed Jeljeli, Noureddine Mbarki, Nedia el Ajmi e Maherzia Cherfi comincerà la ricerca dei propri cari nel C.A.R.A di Mineo accompagnati dal vice console,dove si presume siano rinchiusi dei tunisini richiedenti asilo.
























Seguiranno aggiornamenti.....



Galleria d'immagini di Lunedi 30 Gennaio 2012


domenica 29 gennaio 2012

Tunisini spariti, c'è un testimone


SICILIA

Tunisini spariti, c'è un testimone
Una denuncia riaccende le polemiche sugli sbarchi del marzo 2010
DI ETTORE IACONO
PARMA. Tra le acque del Mediterraneo e la sabbia di Lampedusa, dal marzo 2010 si sono perse le tracce di centinaia di giovani tunisini. Un mistero ancora irrisolto che alimenta proteste e che ora sembra generare fantasmi. Qualcuno prova a soffiare sulle braci ancora ardenti della "primavera dei gelsomini", additando fra i responsabili delle sparizioni la Marina militare italiana. In una realtà tutt'altro che rasserenata e dagli equilibri ancora piuttosto labili, insinuare dubbi di questa natura potrebbe rivelarsi un pericoloso detonatore. E forse a qualcuno potrebbe far comodo continuare ad agitare le acque nel dopo Ben Alì. Ma sulla vicenda è stato presentato un dettagliato esposto alla Digos della Questura di Parma, in cui si fa riferimento a una nota che il Consolato tunisino di Palermo, con l'avallo dell'Ambasciata di Roma, avrebbe inviato al ministero degli Affari esteri di Tunisi. I viaggi dei barconi finiti sotto la lente d'ingrandimento sono quelli dell'1, del 14, del 22 e del 29 marzo 2010.
LA DENUNCIA. A far esplodere il caso, la testimonianza di un presunto sopravvissuto, Mohammed Elhadi, pubblicata in lingua araba dal giornale tunisino "Assabah". L'uomo sostiene che il 29 marzo scorso, a poche miglia da
Lampedusa, una delle unità navali della Marina avrebbe aperto il fuoco contro un barcone di disperati in navigazione verso le coste italiane



sabato 21 gennaio 2012

Il mistero dei tunisini scomparsi

Il mistero dei tunisini scomparsi

Sbarcati a Lampedusa, identificati dai famigliari mediante i servizi tv, non danno notizie di sè ormai da mesi

Un'imbarcazione con migranti si avvicina al porto di Lampedusa (Fotogramma)Un'imbarcazione con migranti si avvicina al porto di Lampedusa (Fotogramma)
MILANO - Quel video del Tg5, Mohamed Bouthouri l’avrà visto centinaia di volte. E’ un servizio che risale allo scorso marzo e riprende uno degli innumerevoli sbarchi di tunisini a Lampedusa. In quei frammenti d’immagini, Mohamed ha intravisto suo figlio Meherz, partito lo scorso 29 marzo da Sfax. Ne ha riconosciuto il volto, incastonato in un groviglio di corpi indolenziti, stipati dentro un barcone sgangherato in lento avvicinamento verso il molo dell’isola dopo quasi due giorni di traversata. Ha riconosciuto quel suo inconfondibile giubbotto grigio e i suoi jeans azzurri, gli stessi vestiti con cui, poche ore prima, l’aveva visto partire da casa alla volta del sogno europeo. Da quel momento, Mohamed ha perso ogni traccia del figlio. Mai una telefonata, mai una notizia, mai una lettera. Ha creduto che fosse morto, affogato nelle viscere del Mediterraneo. Aveva abbandonato ogni speranza, fino a quell’incredibile servizio televisivo, dove il volto di suo figlio è rispuntato miracolosamente. Come un fantasma. «Mio figlio è vivo – ripete insistentemente Mohamed – ma non so dove sia».
I volti degli immigrati scomparsiI volti degli immigrati scomparsi    I volti degli immigrati scomparsi    I volti degli immigrati scomparsi    I volti degli immigrati scomparsi    I volti degli immigrati scomparsi
E’ il mistero dei tunisini scomparsi, che coinvolge oltre 500 giovani partiti dalle coste nordafricane durante l’esodo primaverile. Molti di loro, probabilmente, sono morti durante la traversata, forse nel naufragio del 14 marzo. Ma sono decine (almeno venti) quelli sicuramente vivi, intravisti dai familiari nei servizi girati a Lampedusa. Sono i desaparecidos del Mediterraneo. I loro genitori vivono ancorati al ricordo dei momenti della partenza, a quegli ultimi sorrisi indimenticabili dei loro figli, indelebili nelle loro anime martoriate dal mistero. «Avevano paura di affrontare il viaggio verso Lampedusa, ma la speranza di una vita migliore li riempiva di coraggio» racconta Laifa Seuli, madre di Saber, partito il 29 marzo da Sfax. Non si dà pace neppure Faouzi Hadeji, fruttivendolo a Genova e fratello di Lamjed, partito il 29 marzo, sempre da Sfax. Anche lui ha riconosciuto suo fratello in un servizio televisivo: «Sto diventando pazzo perché ho visto mio fratello in video, a Lampedusa, ma sono nove mesi che non lo sento. Prima di imbarcarsi, mi aveva promesso che mi avrebbe raggiunto a Genova, ma non è mai arrivato. Vorrei sapere dove si trova».
La ricerca dei familiari è disperata. Una ricerca assidua, meticolosa, coordinata da Rebeh Kraiem, responsabile dell’associazione Giuseppe Verdi di Parma, dagli anni Novanta impegnata nell’integrazione della comunità tunisina in Italia. Il suo telefono ha cominciato a squillare a fine marzo. «Signora, ho visto mio figlio in televisione, può aiutarmi a cercarlo?». Da allora, Rebeh non si è fermata un attimo. Ha contattato uno ad uno i familiari dei 500 scomparsi, si è fatta inviare le foto, ha organizzato manifestazioni di sensibilizzazione, ha incontrato procuratori e agenti di polizia, ha bussato alle porte delle istituzioni italiane e dei consolati tunisini di tutta Italia, ma spesso senza fortuna. «Consoli e ambasciatore sono ancora legati al vecchio regime – spiega Rebeh –. Considerano i profughi traditori della patria e per questo non vogliono aiutarci. E’ vergognoso, trattano questi ragazzi come cani».
In segno di protesta, Rebeh ha occupato per qualche ora il consolato di Genova e promosso un presidio di due giorni sotto quello di Palermo con l’aiuto della famiglia tunisina Zahkama, molto attiva sul fronte siciliano. Gira l’Italia come una trottola grazie all’aiuto del fratello Alì. Per ottimizzare il lavoro, ha aperto una pagina Facebook dove pubblica tutti gli aggiornamenti. Un’azione impensabile, confessa, visto che «fino a marzo non sapevo neppure utilizzare il computer». Contestualmente, sull’altra sponda del Mediterraneo, i familiari dei migranti scomparsi hanno tenuto varie manifestazioni per sollecitare azioni concrete di ricerca al governo tunisino e a quello italiano.
Difficile dire dove possano trovarsi i tanti profughi scomparsi. Il sospetto è che siano dentro i Centri di Identificazione ed Espulsione con nomi falsi. «Probabilmente hanno fornito generalità false, negando di essere tunisini per evitare il rimpatrio – spiega Rebeh -. Perché non danno notizie ai familiari? Se telefonassero o scrivessero a casa, gli agenti di polizia capirebbero che sono tunisini e li rispedirebbero in patria». C’è soltanto un modo per confermare questa ipotesi: l’ingresso nei Cie dei loro familiari. Una missione apparentemente impossibile, vista la difficile accessibilità di questi luoghi, ma che potrebbe diventare realtà grazie all’audacia di Rebeh e alle sue lunghe discussioni col nuovo governo tunisino, che potrebbe organizzare per i prossimi giorni una commissione speciale che accompagnerà un gruppo di familiari dentro i Cie. Sarà una vera e propria spedizione della speranza alla ricerca dei figli perduti. Per sensibilizzare governi e opinione pubblica, il 14 gennaio sono in programma due manifestazioni, una sotto l’ambasciata tunisina di Roma, l’altra sotto il consolato di Milano.

IL TRAFFICO ILLECITO DELLE BARCHE SEQUESTRATI

La Vicenda del '' TAYSIR''

Nel seguente articolo citerò dei nomi fittizzi su espressa richiesta dei narrattori di questa storia.

Il racconto ha come protagonisti Ahmed Zitouni e Abdullah Ben Haj Selem, pescatori della città marinara di Teboulba, a Monastir


La scritta a spray CP 38/11 sul '' Taysir'' ( Bordeline europe)
Ci troviamo nel porto di Teboulba , uno dei porti di pesca più noti della Tunisia, punto di ritrovo per molti pescatori del luogo. Tra le migliaia di pescherecci ormeggiati , noto la presenza di un barcone di nome     ' TAYSIR'', nulla di strano fin qui se non per il fatto che nella paratie adiacenti la plancia e la prua campeggia una scritta al quanto familiare per chi visita spesso Lampedusa '' CP 38 /11 ( capitaneria di porto, 38ettesima 2011) chiedo ad Ahmed come mai un peschereccio ormeggiato in un porto tunisino abbia la scritta a spray che rilascia le autorità della guardia
costiera italiana ai barconi sequestrati. Egli  risponde
Il '' TAYSIR'' ormeggiato nel porto di Teboulba ( Bordeline europe
dichiarando che quel barcone parti da Zarzis  nel Febbraio scorso con a bordo 700 migranti diretti a Lampedusa, e che ritornò circa un mese fa dall'isola. Insisto nel porgergli le domande ed egli mi racconta un giro di denaro atto a fare ritornare barconi sequestrati ai legittimi proprietari in Tunisia .Mi rivela che un certo Taoufik Nouira, noto armatore di Monastir, è attualmente in contatto con un certo Moustafa Ben Kahla all'anagrafe Selem,abitante da anni a Lampedusa,spiegandomi che Taoufik Nouira tramite le sue conoscenze,facilita i contatti tra il Moustafa di Lampedusa e alcuni armatori tunisini,desiderosi di riappropriarsi delle imbarcazioni vendute nei mesi scorsi agli scafisti in partenza e sequestrate dalle autorità lampedusane all'arrivo.In cambio della restituzione del natante l'armatore di turno sborsa milioni di dinari a Moustafa, che secondo lui il seguente incasso serve a ricoprire le spese ''legali'' attuate per il rilascio del natante. Ahmed sospetta l'illegalità dell'operazione ricordando che normalmente quando si vuole ottenere il dissequestro di un mezzo, devi pagare solamente le spese per l'avvocato,con una tariffa che varia tra i 3 e i 5 milioni, e non 80 milioni di dinari, in euro quasi 40 mila ,prezzo sborsato per il '' TAYSIR'',il peschereccio sequestrato mesi fa a Lampedusa ed ora stranamente ormeggiato nel porto di Teboulba, Ahmed mi spiega come è nato il rapporto tra Taoufik Nouira e Moustafa Ben Kahla, mi racconta che Taoufik ebbe 2 mesi fa il fratello Fakr Dinne bloccato nel porto di Lampedusa in seguito all'intercertazione del suo peschereccio in acque italiane e che grazie alla mediazione di Moustafa fu subito rilasciato dalle autorità lampedusane, da allora Taoufik per sdebitarsi cerca e facilità i contatti tra i proprietari dei natanti bloccati a Lampedusa e Moustafa, tunisino originario di Teboulba e abitante a Lampedusa. In seguito Ahmed mi fa conoscere Abdullah Ben Haj Selem, colui che consegnò il denaro a Moustafa e accompagnò il proprietario del '' TAYSIR'' a Lampedusa. Abdullah mi racconta inoltre che due ore prima dell'arrivo a Lampedusa, il proprietario del '' TAYSIR'' in viaggio con lui,  lo avvisò dell'arrivo di un fax a Lampedusa contenente le caratteristiche del peschereccio di Abdullah e i dati anagrafici delle persone che verrano a riprendersi il ''TAYSIR'',affermando inoltre che non avvisò le autorità lampedusane del suo arrivo,procedura obbligatoria secondo il codice della navigazione che dev'essere attuata entro e non oltre le 12 miglia dalla acque territoriali,pena sanzioni e il conseguente sequestro del natante da parte delle autorità competenti,racconta del suo facile ingresso a Lampedusa, e racconta di aver visto il  '' TAYSIR'' ormeggiato nei pressi delle motovedette della guardia di finanza,dopo l'attracco Abdullah dichiara di aver consegnato 40 mila euro avvolti in un sacchetto a Moustafa e di essersi recato negli uffici della capitaneria di porto per sbrigare alcune pratiche,consistenti nel dichiarare le generalità del peschereccio appena arrivato e del suo equipaggio.  Lego il ''TAYSIR'' al suo peschereccio e lo trascinò al largo con a bordo il proprietario. Rimase sbalordito dell'impassibilità delle autorità italiane di fronte al rilascio di un peschereccio che non meno di 4 mesi fa superò senza autorizzazione le acque territoriali italiane con a bordo 700 anime commetendo un reato punibile dalla legge con il sequestro e la distruzione del natante,oltre all'arresto dei responsabili. Proprio oggi Ahmed ha dichiarato che un altro '' affare'' da 44 mila euro è in corso,affermando di aver incontrato proprio ieri Taoufik Nouira mentre conversava telefonicamente,sbandierando un documento con il simbolo della guardia di finanza inviatogli dal compare d'affari Moustafa.   
Barcone bloccato a Lampedusa ( Grazia Bucca)

Affari che a primo impatto sembrano svolgersi ''legalmente''ma se analizzate minuziosamente rivelano la loro natura illegale. 

Analizziamo brevemente alcuni punti: 


  • Come può un natante sequestrato in quanto oggetto del reato essere ceduto senza mezzi termini agli stessi proprietari che l'avevano venduta per fini criminali?                                                                                                                
  • Come mai le autorità lampedusane hanno lasciato Abdullah varcare le acque territoriali senza che costui li abbia avvisati prima delle dodici miglia,come prevede il codice della navigazione. 
  • Come mai le spese ''legali'' attuate da Moustafa costano 40 mila euro e non di meno?

Speciale musica e harraga: Kamkam l'harqa

Speciale musica e harraga: Kamkam l'harqa


Lui è un volto nuovo del rap tunisino. Ha iniziato a suonare dopo la caduta del regime di Ben Ali nel gennaio scorso. Si chiama Karim Kamkam e Kamkam l'harqa è uno dei suoi primi pezzi. Forse non ha girato molto, ma è interessante per il suo testo. Perché ci accompagna verso quello che pensa la maggioranza dell'opinione pubblica sulla riva sud del Mediterraneo. Ovvero che bruciare la frontiera non valga più la pena. Nel suo pezzo Kamkam racconta di un ragazzo, della sua vita di privazioni materiali e di espedienti illegali per tirare a campare, e dei suoi sogni di una vita "troppo chic" in Europa. Cose tipo incontrare una Jennifer Lopez, avere dei figli con la cittadinanza europea e tornare con una Jaguar e la popolarità di un divo come se fosse Maradona. Ma l'Europa che incontra è diversa. Per la prima volta nella vita prova la fame, la sete e dorme al freddo sotto i ponti, fino a quando un bel giorno la polizia lo arresta senza che abbia nemmeno il tempo di capire cosa stia succedendo. Al commissariato, tra uno schiaffo e l'altro, un ufficiale gli chiede cosa è venuto a fare di qua dal mare. E lui risponde: "Un sogno mi ha portato". Ecco però che il sogno è diventato un incubo. E Kamkam non esita a dire ai suoi coetanei di non partire, che non vale la pena, e piuttosto di provare, di gustare la vita in Tunisia. Perché dall'Europa si rischia di tornare in una bara. Mentre nel frattempo se ne vanno gli anni migliori della gioventù. Pensano lo stesso ormai molti giovani. E infatti non è un caso che dalla Tunisia nel 2011, con le frontiere senza controllo e l'economia al collasso, siano partiti harraga per Lampedusa "solo" 30.000 ragazzi su 10 milioni di abitanti, e che una volta capito che non si passava più, le partenze siano cessate. Insomma la cultura harraga è molto minoritaria ormai. Appartiene soprattutto ai ragazzi dei quartieri popolari, che vedono nella frontiera il proprio riscatto. Ma il grosso della gente la pensa in un altro modo. Tutti ormai sanno che in Europa c'è crisi economica e che il razzismo ha raggiunto livelli insopportabili. E allo stesso tempo i cambiamenti politici che ci sono stati in tutta la riva sud con i moti popolari di quest'anno che hanno portato alla fine della dittatura in Tunisia, Libia ed Egitto e a importanti riforme in Algeria e Marocco, hanno infuso speranza e ottimismo nella prima generazione figlia del boom economico di questi paesi. Il che è soltanto un'altra ennesima ragione per aprire le frontiere anche a sud dell'Europa, come già è stato fatto cinque anni fa con l'Europa dell'est. Perché l'invasione non ci sarà. Esiste soltanto nelle nostre paure. E allora buon ascolto. E come al solito buona lettura, perché di seguito trovate il testo tradotto del pezzo.

Speciale musica e harraga: Babour li jabni

Speciale musica e harraga: Babour li jabni


Lui si chiama Bilal Mouffok, ma in Algeria tutti lo conoscono come Cheb Bilal. Classe 1966, la sua è una delle voci della musica raï algerina. Tutto è iniziato con il conservatorio a Oran e i primi concerti ai matrimoni. Fino a quando, nel 1989, Bilal sbarca a Marsiglia e inizia a lavorare senza documenti come lavapiatti un un piccolo bar della città. Ed è a Marsiglia che scopre la sua anima raï e che inizia a farsi un nome tra la comunità algerina della città. Fino a quando, nel 1997, pubblica il suo primo album: "Babour li jabni", che in italiano suona come "Maledetta la barca che mi ha portato". La canzone diventa immediatamente un successo in Algeria come in Francia, e lo consacra come nuovo interprete della musica raï. Canta la disillusione di chi il viaggio l'ha già fatto, la nostalgia per il paese, e la tristezza della lontananza. Sentimenti comuni a migliaia diharraga arrivati in Europa e rimasti prigionieri dei propri sogni. Perché paradossalmente nella fortezza è più facile entrare che uscire. E una volta rimasti senza documenti, i giovani harraga possono passare anni interminabili prima di poter rivedere la propria terra, la propria famiglia e i propri amici. E in mezzo ci sono tutte le occasioni perse. Che sia la gioia di un matrimonio o il lutto di un funerale. E i legami importanti che finiscono per allentarsi a volte irreversibilmente. Perché una volta rimasti bloccati nella fortezza si scopre anche quello. Che i soldi non erano tutto. E che anche i sogni più belli a volte diventano incubi. Di seguito trovate il testo tradotto in italiano. Buon ascolto e buona lettura.

Speciale musica e harraga: Ya rayah

Speciale musica e harraga: Ya rayah


Chiudiamo la nostra rassegna su musica e harraga con un classico della musica algerina. Si tratta di un vecchio pezzo del cantante algerino Dahmane El Harrachi (1926-1980). Nel 1997 un altro cantante algerino, Rachid Taha (classe 1958), ne propose una reinterpretazione con un singolo divenuto un vero e proprio cult, ripreso poi da Cheb Khaled e remixato fino a metà degli anni duemila. La canzone si intitola Ya Rayah, Tu che parti. Ed è una sorta di invito a restare o quantomeno a ritornare. Sembrano parole dedicate a tutti quelli che non ce l'hanno fatta. Che oggi sono prigionieri della fortezza Europa. Senza documenti validi per lavorare o per viaggiare, magari detenuti nei Cie o nelle carceri per qualche piccolo reato. Perennemente combattuti tra la nostalgia del proprio paese e della propria famiglia, e l'impossibilità di rientrare senza una storia di successo e le tasche piene. Perché nelle zone rurali del Marocco e dell'Egitto come nei quartieri popolari di Tunisi e Annaba, l'imperativo sociale è fortissimo. Non si torna da falliti a meno di non voler scontare l'onta per non avercela fatta e per aver sprecato inutilmente la propria giovinezza lontano da casa e dai propri affetti. Dahmane El Harrachi lo vedeva già negli anni Settanta con gli algerini in Francia: "Tu che parti, dove vai? Finirai per ritornare. Quanti ingenui se ne sono pentiti prima di te e di me!... E passano i giorni, e passa la giovinezza, la tua e la mia". Di seguito trovate tutto il testo della canzone tradotto in italiano.

Fratelli Tunisini. Lo speciale di Presa Diretta

Fratelli Tunisini. Lo speciale di Presa Diretta


La rivoluzione in Tunisia, l'Europa che foraggiava il dittatore Ben Ali, anche con i fondi della cooperazione internazionale, e che oggi abbandona la giovane democrazia appena uscita dalle elezioni. Il sogno dei ragazzi partiti su una barca per l'Italia con l'idea di riscattarsi, e la disillusione dei tanti di loro che alla fine hanno deciso di tornare a casa. La disperazione dei genitori dei dispersi in mare, e la loro ricerca nei centri di identificazione e espulsione di mezza Italia. E infine le immagini dei pestaggi di Lampedusa del 20 settembre. Tutto questo nell'ultima puntata di Presa Diretta: Fratelli Tunisini. Ieri sera, 8 gennaio 2012, su Rai Tre l'hanno vista due milioni e mezzo di telespettatori, circa l'8,6% dello share. E da oggi è disponibile anche online. Il video integrale della puntata si può scaricare dall'archivio della Rai cliccando sull'immagine sopra. Passaparola.

E adesso tutti nei Cie! Come si fa l'accredito stampa

E adesso tutti nei Cie! Come si fa l'accredito stampa




Il Cie di Torino ripreso dal balcone di un condominio

Dalle parole ai fatti. Per mesi migliaia di persone si sono mobilitate chiedendo il diritto di entrare nei Cie, per poter raccontare all'esterno la violenza istituzionale di quelle strutture. E adesso è arrivato il momento di adempiere a quell'impegno. Ieri è caduta la censura. E già molti di voi ci hanno chiesto come districarsi nella burocrazia delle Prefetture per ottenere l'accredito. Oggi vi spieghiamo tutto. E invitiamo tutti i giornalisti che frequentano questo blog a seguire la procedura. Affinché ogni settimana ci siano storie che rompano il muro del silenzio, in attesa di romperne altre di mura, e liberarci una volta per tutte di questi luoghi di sospensione dello stato di diritto e del principio di inviolabilità della libertà personale. 

Partiamo da zero. Con l'abrogazione della circolare 1305, i giornalisti possono visitare i centri di identificazione e espulsione (Cie), i centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) e i centri di prima accoglienza (Cpa). Ad autorizzare le visite sono le Prefetture sul cui territorio si trovano i centri. I contatti si trovano su questa pagina del sito del Ministero dell'Interno. Dovete telefonare e farvi passare il Capo di Gabinetto del Prefetto, a cui chiedere un contatto (fax o mail) a cui spedire la richiesta di accredito stampa per visitare il centro. L'ideale è fare spedire il fax o la mail direttamente dalla testata giornalistica per cui lavorate. Oltre ai vostri dati e a quelli della testata, dovete specificare quando volete fare la visita, chi volete intervistare, quanto tempo vi servirà, se volete fare foto, video, audio, o soltanto prendere appunti. Se iscritti all'albo dei giornalisti o dei pubblicisti, anche i free lance possono fare richiesta, pur senza essere incaricati da nessuna testata specifica. 

L'autorizzazione resta comunque a totale discrezione del Prefetto, che decide fondamentalmente sulla base delle condizioni del centro. Il che vuol dire che se sono giorni di rivolte, incendi e tensioni, tendenzialmente rinviano o vietano proprio la visita. In quel caso basta insistere, perché comunque nella maggior parte dei casi le risposte sono positive. I tempi di attesa per la risposta possono variare da una settimana ad alcuni mesi. 

Una volta dentro, avete diritto a chiedere all'ente gestore i costi della struttura. Potete parlare con i responsabili dell'ufficio immigrazione della polizia e, soprattutto, avete diritto a parlare con i detenuti. Tenete presente che in alcuni centri la polizia tende a sconsigliare, e in alcuni casi a vietare, i colloqui con i detenuti, con la solita scusa della sicurezza dei giornalisti. In realtà avete diritto a incontrarli, e a incontrarli dentro le gabbie dove sono rinchiusi. Dunque insistete, non avete nulla da temere. Al contrario i detenuti hanno sempre una gran voglia di raccontare e denunciare quanto accade loro nei Cie.

Per comunicare con i prigionieri, l'ideale è conoscere almeno l'inglese e il francese, meglio se anche l'arabo. La maggior parte dei reclusi infatti sono arabi e africani (anglofoni e francofoni), e spesso il loro livello di italiano è scarso, o inesistente se sono appena arrivati. Se non avete padronanza delle lingue, fatevi accreditare con un collega che possa aiutarvi con le traduzioni. Altrimenti fatevi aiutare nelle gabbie dai detenuti che parlano meglio l'italiano. Sconsiglio di utilizzare i traduttori degli enti gestori. Cercate di parlare anche con i medici per la questione dell'abuso di psicofarmaci.

Per verificare le informazioni raccolte dalle interviste con i detenuti, è sempre meglio chiedere loro i contatti dei loro avvocati e dei loro parenti e ex datori di lavoro fuori dal Cie. Per fare ciò, è sempre buona cosa insistere con le autorità per avere un tempo sufficiente per raccogliere le testimonianze. L'ideale è farsi mettere per iscritto dalla Prefettura l'orario di durata della visita.

Prima di pubblicare non dimenticatevi però di tutelare la privacy dei vostri intervistati. Alcuni reclusi preferiscono restare anonimi, altri non vogliono essere riconoscibili nelle foto. Ogni scelta è legittima e come tale va rispettata.

I Cie attualmente in funzione, si trovano a Torino, Milano, Modena, Bologna, Gradisca d'Isonzo (Go), Roma, Bari, Brindisi, Lamezia Terme, Trapani (Vulpitta, e Milo). Mentre i Cie di Caltanissetta, Trapani (Chinisia), Crotone, Palazzo San Gervasio (Pz) e Santa Maria Capua Vetere (Cs), sono al momento chiusi. Se vi interessano le sezioni femminili, ce ne sono nei Cie di Torino, Roma, Bologna e Milano. Le sezioni transessuali sono invece a Milano e a Roma. A Cagliari si trova un centro di prima accoglienza (cpa) usato di fatto come un Cie. Il cpa/cie di Lampedusa è al momento chiuso. Prima di andare, studiate le notizie disponibili sul nostro tag CIE.

Per i Cara, vedete la sezione apposita del sito, tenendo presente che nel frattempo è stato aperto il mega Cara di Mineo, a Catania, che probabilmente è il più interessante da visitare nell'immediato. 

mercoledì 18 gennaio 2012

IN DUE PAROLE : I NOSTRI FIGLI DOVE SONO? سأكتشف الحقيقة حتى و إن كانت مرة

IN DUE PAROLE : I NOSTRI FIGLI DOVE SONO? سأكتشف الحقيقة حتى و إن كانت مرة


هل هناك من لقيا حتفه في إحد عمليات الملاحقة
ما إرتكبته عصايات اليمين المطرف بدعم من وزارة الداخلية اثر ملاحقة المهاجرين ملف لابد من فتحه؟
هناك كثير من الغموض لكن ساصل بإذن الله لكشف كل هاته الألغاز
عادل العيد
TUNISINO LIBERO

I TUNISINI SCOMPARSI :Immigrati: madri tunisine alla Boniver, dove sono nostri figli?

 TUNISINI SCOMPARSI

Immigrati: madri tunisine alla Boniver, dove sono nostri figli?




(AGI) - Tunisi, 18 gen. - (dall'inviato Fabio Greco) "Da una sponda all'altra, vite che contano". La frase sullo striscione racchiude l'angoscia di decine di madri che lo reggono. Sono le donne tunisine i cui figli si avventurarono un anno fa sui barconi della speranza alla volta dell'Italia, e dei quali non si sa piu' nulla, ne' in Italia ne' in patria.
  Queste madri, che manifestano ogni giorno da un anno aggrappate ai cancelli del ministero degli Esteri tunisino, oggi hanno fermato la delegazione della Commissione parlamentare italiana sul controllo dell'immigrazione, guidata da Margherita Boniver, bloccandola da fuori nell'edificio per circa un'ora e nella speranza in un incontro. Erano una cinquantina, ma Hamadi Zribi, italo-tunisino che le coordina, spiega che sono "almeno 200 in tutta Tunisi". "Chiedono chiarezza sul destino dei figli", dice, "quale sia stata la loro sorte, se finirono annegati in mare o sono ancora vivi da qualche parte in Italia". A un anno dall'inizio Rivoluzione dei Gelsomini, il dramma di chi fuggi' dal Paese temendo la guerra civile o in cerca di una nuova vita aspetta ancora una soluzione e forse, a dire di Hamadi, basta poco per rasserenare queste donne. "Mio figlio parti' il 14 gennaio scorso, da Sfax", racconta la madre di Mohammed Jabail, 24 anni, "sono sicura che si trova in un carcere nel nord Italia. L'ho visto in una foto". La speranza e' tutta in un fotogramma di un filmato televisivo, in cui sono ripresi i barconi stipati di disperati in arrivo a Lampedusa.
  "Questo e' lui, e' il mio Ahmed", indica una di queste donne, sovrapponendo la fototessera conservata nella borsa al profilo di un ragazzo sul barcone: la somiglianza e' vaga, ma basta a tenere viva la speranza. "Certo che mio figlio e' vivo, l'ho visto in televisione mentre urlava dal bus il giorno dopo l'arrivo a Lampedusa: 'Non voglio tornare a Tunisi'. Pero', perche' non chiama, non telefona?", piange un padre mostrando la foto del figlio adolescente. In quelle partenze da Sfax, Tunisi, Bizerte -fughe di chi aveva letto la Rivoluzione come liberta' di mollare la poverta' e andarsene- la Tunisia ha perso un pezzo di gioventu'. Secondo i piu' recenti dati disponibili, oltre 26.000 migranti sono arrivati a Lampedusa nel 2011, e piu' di 2.000 hanno chiesto protezione internazionale. "Il piu' adulto di quelli che in un anno sono partiti da qui ha 35 anni", aggiunge Hamadi, che, prima in Italia e poi nel proprio Paese, sembra aver dedicato la propria vita a ricollegare i fili tra persone lontane e attenuare il dolore di chi ha perduto una persona cara. Ma queste madri vivono in un limbo, tra l'attesa di telefonata del loro ragazzo e quella di lacrime che non vorrebbero mai versare. "Basterebbe qualche settimana per liberarle dall'angoscia", sottolinea Hamadi, "basterebbe che Italia e Tunisia incrociassero le verifiche sulle impronte digitali in possesso di entrambi i Paesi", quello dal quale il giovane e' partito e quello in cui e' arrivato. "Basterebbe", aggiunge, "la formazione di una commissione tecnica incaricata di fare cio', ed e' questo che abbiamo chiesto in una lettera inviata al ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi". 

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